di Elisabetta Degli Esposti Merli
Partiamo da una domanda molto semplice e provocatoria: l’Italia è un Paese razzista? O meglio il nostro Paese è parte integrante di una realtà strutturalmente razzista?
Nelle pagine di questo interessantissimo saggio uscito nel 2020 per la PeoplePub troviamo, finalmente, la risposta di una persona che “non può mimetizzarsi tra la folla – bianca – perché sai già che il colore della pelle può essere un elemento di accusa”.
Troppo spesso, infatti, questa domanda è stata posta a chi il razzismo non lo subisce, ad esperti occidentali che, non vivendolo sulla propria pelle, non possono immedesimarsi in chi ne è vittima, per quanto si sforzino – empaticamente – di capire.
E questo spesso ci ha impedito di comprendere quanto invece siamo immersi in un sistema di discriminazioni ed esclusione.
Oiza Queens Day Obasuyi, giovane scrittrice e attivista afro-discendente, è nata e cresciuta in Italia ed è una donna che il razzismo lo ha subito e lo subisce.
È uno di quei corpi estranei a cui è dedicato il suo saggio: persone nere – o forse sarebbe meglio dire coloro che sono razzializzati per via della propria origine, del colore della pelle, del genere o dell’appartenenza a una determinata classe sociale – che la società di “accoglienza” ha spersonalizzato nel dibattito pubblico, politico e mediatico, trattandoli come esseri non in grado di formulare un pensiero proprio, di provare sentimenti, passioni e soprattutto di rivendicare diritti.
“Estraneo” infatti è un aggettivo riferito a “chi, non fa parte di una società, di un ambiente, o non è autorizzato a entrare in un luogo”
Ma facciamo un passo indietro: cos’è effettivamente il razzismo?
Il razzismo è qualcosa di più complesso del gesto sconsiderato di un fanatico che spara su una folla di stranieri o un politico che incita all’odio razziale: come recitava il cartello che Angela Davis teneva tra le mani durante una manifestazione contro l’assassinio di George Floyd “il razzismo è sistemico. Le sue esplosioni non sono incidenti isolati”.
Gli episodi eclatanti sono solo la punta dell’iceberg, sotto il livello dell’acqua si cela qualcosa di strutturale, come leggi che rendono complesso se non impossibile ottenere i documenti o la cittadinanza, come pensare che sia normale che gli/le stranieri/e debbano accontentarsi di lavori poco qualificati e malpagati, ma ci sono anche questioni culturali e storiche, come la rimozione del passato coloniale o l’idea persistente che tutti i Paesi dell’Africa siano uguali, popolati di persone che attendono di essere salvate.
Obasuyi analizza il colonialismo e il post colonialismo e le narrazioni che ci hanno lasciano in eredità e che subdolamente restano latenti nell’immaginario più remoto anche delle menti più progressiste, la rappresentazione dei corpi nella televisione italiana in cui pullulano scontate banalizzazioni, il racconto stereotipato dell’Africa e degli africani, la politicizzazione del colore della pelle e la doppia narrazione sugli immigrati che li vuole o criminali o sfruttabili.
Molto interessante la riflessione sulla feticizzazione del corpo nero femminile, estremamente sessualizzato e disumanizzato: “pantera”, vogliosa, aggressiva e sicuramente una bravissima ballerina di twerk, ma quasi mai pensata con una propria testa, dotata di pensiero, conoscenze, potenzialità e abilità.
Infine una nota sulla conclusione del libro: dopo aver passato in rassegna tutto ciò che ha portato alla situazione attuale e presone atto, l’autrice si domanda “Quindi che fare?”
Esatto, che cosa possiamo fare? Non è più possibile eludere il problema e chiudere lo scomodo discorso asserendo che in fondo siamo e siamo sempre stati brava gente e che “non siamo mica come negli Stati Uniti”.
“Sviluppare un pensiero antirazzista significa mettere in dubbio le proprie convinzioni e accettare il fatto che anche se hai letto qualcosa di Malcom X o Martin Luther King puoi comunque vivere in un contesto che influenza una narrazione tossica e stereotipata sulle persone afro discendenti o di altre etnie” sostiene Obasuyi.
Oggi è come non mai sempre più necessario aprire le orecchie a nuove narrazioni, che possono offrire punti di vista differenti, scorci della stessa realtà colti da altre angolazioni da cui osservare la stessa realtà, come fossero chiavi di lettura che aprono porte restate chiuse per troppo tempo.
È arrivato il momento di fermarsi, stare zitti per qualche istante e ascoltare le voci di chi a lungo non ha avuto la possibilità di farlo.
È il momento di scendere dal piedistallo e ricominciare un nuovo dialogo.
Potete trovare la scheda di Obasuyi sul nostro sito qui.